domenica 30 ottobre 2011

PIANTE DA FRUTTO

LA SUA FRUTTA SI COGLIE  IN QUESTA STAGIONE.   UN TEMPO ERA COMUNE ADESSO PURTROPPO E' DIVENTATA RARA RISCOPRIAMO LE SUE QUALITA'

Non c'era frutteto, orto o pezzo di terra dove gli alberi da frutta venissero coltivati che sino agli anni 60 non avesse i suoi meli o peri cotogni.

Venivano  piantati per molti scopi: la frutta prodotta profumata e dura spesso veniva impiegata per  dare un buon profumo alla biancheria, scacciare i cattivi odori veniva anche cucinata sotto forma di marmellate mostarde e gelatine.

Se ne poteva fare anche un liquore digestivo e aromatico tipico della pianura e delle colline vicino a Parma chiamato "Sburlon" fortemente digestivo.

A poco a poco le antiche case coloniche son scomparse abbattute o ristrutturate e con loro se n'è andato anche quest'albero così caratteristico e utile.

Da non molto è stato riscoperto e molti appassionati l'hanno piantato rallegrandosi di questa loro scelta.

Io una quindicina di anni fa ne ho voluti ben tre di due varietà diverse che rallegrano le vicinanze di casa con la loro fioritura a maggio e con i loro frutti nel tardo autunno.

GLI ANTICHI BABILONESI GIA' LO COLTIVAVANO

Il cotogno è uno degli alberi da frutta che per primi hanno allietato il gusto e la vista dell'uomo antico infatti tracce della sua coltivazione sono state ritrovate in insediamenti Babilonesi datati  4000 anni a.C.

Originario dell'Asia Minore, Persia e Anatolia, si è diffuso nell'antichità  in tutto il bacino del Mediterraneo.

Nell'antica Grecia era sacro ad Afrodite per secoli simbolo di fecondità utilizzato nei riti matrimoniali come simbolo di buon auspicio e di fecondo amore.

Anche i romani lo tenevano in gran conto e se ne sono trovate raffigurazioni in affreschi a Pompei.

Nel 1500 e nel 1600 si riteneva che se le donne incinte avessero spesso mangiato questi frutti i loro figlioli sarebbero stati " industriosi e di segnalato ingegno"

CHIAMATO MELO APPARTIENE A UNA SUA PROPRIA FAMIGLIA

Viene chiamato melo cotogno ma è una specie a sè stante distinta dal melo e dal pero appartiene alla famiglia delle Rosaceae.

Il suo nome scientifico è Cydonia oblonga che deriva da Cidonia una città dell'isola di Creta dove quest'albero ai tempi della Grecia antica abbondava.

Le varietà sono molte ma possono raggrupparsi in due grandi gruppi a seconda della forma dei loro frutti.

Le varietà con i frutti che assomigliano a mele vengono chiamate mele cotogne mentre quelle che hanno la forma del frutto che assomiglia ad una grossa pera vengono dette pere cotogne.

 ECCO LA SUA DESCRIZIONE MA VEDERLO E' MOLTO MEGLIO

Il cotogno è un alberello che per le sue ridotte dimensioni, dai tre ai sei metri, è molto adatto per essere coltivato in spazi piccoli o in un orto famigliare.

Ha tronco molto scuro e contorto radici superficiali e chioma globulosa.

Se lasciato crescere spontaneamente assume aspetto cespuglioso a causa dei numerosi polloni che spuntano vicino alla pianta madre.

Ha foglie grandi e spesse di un verde scuro, fioritura a fine aprile primi di maggio con fiori grandi leggermente rosei che abbelliscono questa pianta rendendola molto ornamentale.

E' un albero rustico che non richiede troppa manutenzione gradisce suoli con buon drenaggio terreno leggermente acido e soffre il calcare.

Concimatelo con stallatico ben maturo al momento dell'impianto che è consigliabile fare in autunno alla caduta delle foglie sino a novembre è possibile piantarlo.

Anche in primavera specie se la pianta è in vaso è possibile metterla a dimora ma va curata maggiormente specialmente per quanto riguarda l'irrigazione.

Il cotogno è pianta rara e poche sono quelle piantate in piena terra ma non escludo visto che l'albero non ha grosse dimensioni che si possa tentare la coltivazione in vaso.

COLTIVAZIONE IN VASO?  TENTATE NON E' IMPOSSIBILE

Prendete una conca di terracotta di quelle adoperate per la coltivazione dei limoni mettetevi argilla espansa per ottenere un ottimo drenaggio e munitevi di terra fertile e sciolta alla quale mescolerete dello stallatico in granuli per le dosi attenetevi a quelle scritte sulla confezione.

Rinvasate la vostra piantina e ponetela in un posto riparato e luminoso abbondando se è primavera con le annaffiature ma senza che il terreno risulti eccessivamente umido o peggio che vi siano dei ristagni.

Il vostro cotogno si svilupperà dandovi la soddisfazione di avere sul terrazzo una pianta che pochi possono vantarsi di avere in piena terra.

Ricordatevi di comprare una varietà autofertile per assicurarvi la fruttificazione.


 mele cotogne immature con la loro peluria
 Rinvasate ogni due anni in primavera prima della ripresa vegetativa riducendo le radici e cambiando la terra ormai esaurita.

Per le potature e le altre operazioni attenetevi a quello che già ho detto per le piante coltivate in piena terra.

COME FARE SE VOLETE MOLTIPLICARLO


Per la propagazione del cotogno basta staccare dei polloni con un pezzo di radice dalla pianta madre e ripiantarli  sono di facile attecchimento.

Fare questa operazione in autunno o in primavera prima dell'inizio della vegetazione ma meglio farla in autunno così ha più possibilità durante l'inverno di ben radicare.

E' possibile propagarla anche per seme, ma è un metodo più lento oppure per talea se si vuole riprodurre esattamente le caratteristiche della  pianta madre.

Per particolari varietà pregiate es "Gigante di Vranja" occorre comprare le piantine già innestate da un buon vivaista.

POTATURA? SI MA NON TROPPO INTENSA

Attenzione alle potature con il cotogno poichè esso ha fruttificazione apicale quindi la potatura va ridotta al minimo indispensabile specie quella di allevamento.

Eliminate i polloni basali per conservare pulita la sua forma ad alberello, togliete i rami malformati che si incrociano dentro la chioma per arieggiarla e quelli rotti o malati ma potate il minimo indispensabile.

Forti potature danno come conseguenza una reazione della pianta che emette rami vigorosi e improduttivi.

Essendo la sua fioritura tardiva sopporta bene le gelate ma per svilupparsi al meglio predilige tutta la fascia temperata anche se a dire il vero i miei cotogni son bellissimi a produttivi anche qui in provincia di Novara dove si hanno inverni lunghi e rigidi.

ALCUNE COSE CHE ASSOLUTAMENTE DOVETE SAPERE PER ASSICURARVI UN'OTTIMA FRUTTIFICAZIONE

 varietà di  pero cotogno 
 Alcune varietà sono autosterili altre autofertili quindi chiedete bene quando comprate la varietà a che gruppo appartiene anche se tutte si avvantaggiano dell'impollinazione incrociata.

Successivamente, quando tratterò delle varie varietà vi darò altre informazioni in merito.

Tenete presente che se la pianta è autosterile  significa che per vederla fruttificare occorre avere almeno due piante di differenti varietà.

La fruttificazione è garantita se accanto ad un melo cotogno pianterete un pero cotogno.

Una pianta ben coltivata in piena produzione può dare anche 50 kg di frutti  inizia orientativamente a produrre intorno al quarto quinto anno e prosegue oltre il cinquantesimo essendo il cotogno una pianta longeva.

Il fenomeno dell'alternanza nella fruttificazione, un anno tanti frutti e l'anno dopo pochissimi quasi nessuno, è abbastanza comune in questa specie.

Si può cercare di ovviare a questo inconveniente diradando i frutticini negli anni di carica quando sono della grossezza di circa una noce o poco più grandi.

LA SUA FRUTTA TUTTI I SEGRETI PER GUSTARLA AL MEGLIO 


La raccolta della sua frutta si svolge ad ottobre e si nota che è terminata la maturazione quando i frutti perdono quella peluria sottile che li contraddistingue per presentare una buccia liscia e gialla.

I frutti maturano scalarmente e non si deve aver fretta di coglierli ma aspettare che siano ben gialli e che si stacchino eseguendo solo una leggera torsione del picciolo.

Cogliendoli poco alla volta darete la possibilità a quelli rimasti di ingrossarsi e maturare con più agio.

Questo frutto non può essere consumato crudo per la sua durezza e per la intensa presenza di tannini invece diventa buonissimo morbido e profumato cotto anche se conserva una punta di aspro che viene mitigata con lo zucchero.

Tradizionalmente le mele o le pere cotogne venivano impiegate cotte nel vino come ottime mele o pere cotte da servirsi a fine pasto

                                                     SONO NUMEROSE LE SUE PROPRIETA'

Questo frutto ha proprietà  medicinali conosciute sin dall'antichità, è astringente e regolatore dell'intestino,  e anche apprezzato come emolliente e calmante della tosse.

Queste sue proprietà sono dovute al suo alto contenuto di fibre, tannini e vitamina C.

Le mucillagini che i suoi semi contengono contrastano efficacemente la disidratazione e attenuano l'insorgere delle rughe.

Da questo è derivata la sua fama di simbolo d'amore e di bellezza.

Per la sua ricchezza di pectina un tempo era usato  anche come addensante nelle marmellate.

Le mele cotogne si conservano bene per lungo tempo vanno ritirate ben asciutte ed è meglio non mescolarle con altra frutta in quanto ne accelerano la maturazione.

Poichè si raccolgono nello stesso periodo dell'uva o poco più tardi in alcune regioni vengono cotte nel mosto e vengono a far parte di salse tipiche come la cugnà piemontese e il savor romagnolo.

Per un frutto così raro e particolare ho scelto una ricetta tipica  molto gustosa che spero piacerà a molti di voi e soprattutto se avete bambini incontrerà il loro gusto.

 CARAMELLINE DI COTOGNATA

Ingredienti

mele cotogne

zucchero semolato

succo di limone

Pulire molto bene in acqua a cui avrete aggiunto un pizzico di bicarbonato le vostre mele cotogne.

Tagliatele poi in pezzi lasciando la buccia e i semini.

Cuocetele in una pentola con l'acqua che le copre a filo per circa una quarantina di minuti dopo aver aggiunto il succo di limone.

Per circa 5 mele cotogne aggiungete il succo di un limone.

Scolare molto bene la frutta lasciandola alcune ore nel colapasta per togliere bene tutta l'acqua eccedente poi passarla nel passaverdura in modo da eliminare i semini e le parti più dure.

Pesate la polpa ottenuta e aggiungete 80 gr di zucchero per ogni etto di frutta.

Rimettete sul fuoco basso e fate cuocere per altri 40 minuti mescolando continuamente e facendo attenzione che non si attacchi sul fondo della pentola la polpa.

Avrete ottenuto un composto abbastanza denso e caramelloso.

Oliate una pirofila d'acciaio o antiaderente e versatevi il composto livellandolo bene.

Lo spessore può essere di uno o due cm a vostra discrezione.

Una volta che il composto si è raffreddato avvolgetelo con una pellicola d'alluminio e ponetelo in frigorifero.

Il giorno dopo tagliate la cotognata ormai solidificata a quadretti oppure potete anche fare forme a vostro piacimento triangolini, rettangoli quadratini ecc... attenzione che è un pò appiccicaticcia.

Fate rotolare le formine così ottenute nello zucchero cristallizzato va bene anche quello di canna facendolo aderire bene in tutti i lati se vedete che lo assorbono un pò troppo fate questa operazione solo al momento  di servirle.


 caramelline di cotognata
 Vanno conservate in frigo e formeranno la gioia dei grandi e sopratutto dei più piccolini.

Vanno bene come dolcetti a fine pasto e per una calorica merenda nelle giornate fredde.

Io un pò cicciottella è bene che non li gusti ma mi ricordo il profumo e il sapore che avevano.

Erano i miei dolcetti preferiti da bambina e mia nonna non mancava mai di farmeli.

Questa che adesso vi ho passata è un'antica ricetta come antico è l'albero dal quale venivano colte le mele che formano l'ingrediente principale di questa ricetta.

Mettetela in atto e mi saprete dire garantisco della sua bontà.

Adesso non mi resta che augurarvi

BUON APPETITO

sabato 29 ottobre 2011

PIANTE DA FRUTTO

E' FICO E' SPINOSO VIVE NEL MERIDONE MA E' D'INDIA

Il fico d'india pianta simbolo del nostro Meridione e in special modo della Sicilia  in realtà è una pianta di origini messicane!

Era già conosciuta e sacra ai tempi degli Aztechi che la chiamavano nopalli.

La loro capitaleTenochtitla era stata fondata  nel luogo dove una profezia aveva predetto che si sarebbe vista un'aquila appollaiata sopra un cactus nopalli.

Così era avvenuto e il cactus nopalli, l'odierno fico d'india, era diventata una pianta sacra che si era diffusa in tutto il centro America.

La si coltivava anche per il carminio colorante pregiato che veniva estratto da particolari insetti che vivono su questa pianta.

ARRIVA DAL MESSICO IL "NOSTRO" FICO D'INDIA

In Europa il fico d'india si  ritiene fosse  portato da Cristoforo Colombo di ritorno dall'America intorno all'anno 1493.
  
Siccome credeva di essere giunto nelle Indie diede a questa pianta il nome di fico d'india nome che ancor oggi gli è rimasto.

La prima descrizione particolareggiata  del fico d'india la dobbiamo ad uno spagnolo nell'anno 1535 mentre nel 1768 gli fu dato il nome scientifico di Opuntia ficus-indica nome che conserva ancora oggi.

DESCRIZIONE DI QUESTA CACTACEA NATURALIZZATA IN TUTTO IL BACINO DEL MEDITERRANEO

Nel bacino del Mediterraneo la pianta trovò condizioni idonee alla sua crescita e si diffuse rapidamente al pundo da diventare un elemento caratteristico dei paesaggi aridi e sassosi.

E' una pianta comune nell'Italia meridionale specialmente in Sicilia ma è coltivata e diffusa anche in altri paesi come il Medio Oriente, gli Stati Uniti, il Sud Africa ovunque vi siano luoghi aridi e temperature che non vadano al di sotto dei 0 gradi.

La sua famiglia è quella delle Cactaceae il genere è Opuntia questo genere è caratterizzato da piante che si sono adattate a vivere in condizioni proibitive sole molto forte di giorno e notti fredde con scarsissime precipitazioni.

Possono vivere in queste condizioni perchè hanno adattato la loro struttura in modo da disperdere quanto meno possibile la preziosa acqua e a resistere alle alte temperature diurne.

Il nostro fico d'india è una pianta succulenta che può raggiungere un'altezza di 5 metri.

Non ha foglie ma fusti modificati chiamati pale o cladodi di forma appiattita e oviforme lunghi dai 30  ai 40 cm e con una larghezza che varia dai 15 ai 25 cm che si uniscono gli uni agli altri formando delle ramificazioni.

Le loro spine e la presenza di una cuticola cerosa scoraggiano i predatori e limitano la traspirazione.

Sono queste pale che assicurano alla pianta la sintesi clorofilliana facendo le veci delle foglie.
 
Su di esse sono presenti le areole, circa 150 per pala, tipiche delle Cactaceae dove vi sono le spine lunghe circa da 1 a 2 cm e i glochidi sottili e piccolissime spine lunghe appena qualche millimetro che si staccano dalla pianta facilmente per contatto oppure per azione di un forte vento e essendo munite di minuscoli uncini si piantano saldamente nella cute rendendo la loro estrazione molto difficoltosa.

E' dalle areole che si generano i fiori altre pale o radici avventizie.

Anche il frutto del fico d'india è coperto di areole e quindi è molto spinoso.

Le vecchie pale diventano legnose attorno al quarto anno di età dando origine a un vero e proprio tronco mentre le pale giovani e tenere possono essere consumate previa cottura.

Una particolarità di questa pianta, caratteristica della sua famiglia le Opuntie, è di avere gli stomi aperture situate sopra l'epidermide che consentono gli scambi gassosi nei vegetali che si aprono la notte richiudendosi di giorno contrariamente a quello che fanno nelle altre piante.

In tutte le altre  piante infatti  gli stomi si aprono di giorno per chiudersi nelle ore notturne.
  
Questa particolarità le consente di evitare la perdita per traspirazione di molti liquidi usufruendo della maggiore frescura e umidità  della notte.

Le radici di questa pianta sono molto estese ma superficiali per poter subito intercettare l'acqua appena bagna il terreno nei luoghi aridi dove vivono.

I fiori grandi di un giallo vivo o di un vistoso arancio o bianchi a seconda delle varietà  con stami molto numerosi appaiono sulla sommità della pianta o sulla superficie più esposta al sole nelle pale di oltre un anno di età che possono portare anche una trentina di fiori.

Il loro numero varia molto in base allo stato di salute della pianta e alla sua posizione.

Fioriscono in maniera scalare a partire dalla primavera e per tutta l'estate e l'impollinazione avviene per opera degli insetti.

Il frutto è una bacca carnosa  che contiene al suo interno numerosi piccoli semi.

La sua forma è ovale tronca all'estremità con una buccia cuoiosa coperta di grovigli di spine sottili corte e molto pungenti.

 fiori del fico d'india
Il colore della buccia varia può essere gialla, rossa o porpora mentre la polpa è succosa densa dolce e profumata.

 Se suo colore è rosso  allora abbiamo una polpa molto succosa con gusto corposo, se è giallo abbiamo polpa consistente e gusto saporito, se è bianco il sapore è più delicato.

SUA COLTIVAZIONE

Il fico d'india è una pianta che si è adattata molto bene in ambienti aridi e caldi ma non sopporta temperature che scendano al di sotto dello 0 anche se le piante selvatiche sono più resistenti alle basse temperature  che fanno deperire le piante coltivate.

Questa pianta prospera al di sopra dei 6 gradi di temperatura ma vuole estati calde e non teme   temperature  anche molto elevate.

Vuole terreno asciutto senza ristagni idrici che la fanno marcire con suolo leggero o grossolano.

La propagazione più usata è quella della talea tagliando longitudinalmente in due le pale di uno o due anni che vengono lasciate seccare per alcuni giorni sinchè non si arresti la loro produzione di liquido.

Vengono poi piantate nel terreno longitudinalmente dove radicano con facilità.

La potatura si esegue solo per togliere le pale danneggiate o malformate e per impedire che i cladioli divengano troppo fitti si esegue all'inizio della primavera o in tarda estate.

Caratteristica è la scozzolatura che si pratica per avere frutta di qualità e pezzatura migliore.

Se non viene praticata la pianta fiorisce a maggio per fruttificare in agosto con frutti di piccole dimensioni e di sapore non ottimale chiamati agostani ricchi di semi.

 La scozzolatura è una forzatura della fruttificazione e si basa sull'eliminazione  della fioritura di maggio in modo che la pianta sia indotta a fiorire nuovamente ma più tardivamente.

 bastardoni
In Sicilia si effettua in due date precise il 13 giugno e il 24 di giugno.

Effettuando questa operazione nella prima data si ottengono frutti che maturano in settembre ottobre mentre " scozzolando" nella seconda data si otterrà la maturazione dei frutti in ottobre novembre.

Questi frutti più pregiati sia per l'epoca di maturazione sia perchè di pezzatura maggiore, di polpa più dolce e meno ricca di semi vengono chiamati "bastardoni".

Non tutti gli anni si esegue la scozzonatura per non stressare eccessivamente la pianta ma solo ad anni alterni o meglio ogni due anni.

Questa  frutta  non viene sottoposta a trattamenti in quanto matura in un'epoca dove scarseggiano gli insetti.

I frutti si raccolgono all'alba quando per la rugiada notturna è minore il rischio di essere punti dalle spine con un caratteristico strumento chiamato "il coppo" formato da un barattolo di latta posto sulla sommità di un bastone.

Introdotto al suo interno il frutto si imprime una torsione per staccarlo dalla pianta senza avvicinarsi troppo all'albero.

I frutti molto spinosi vengono ripuliti dalle spine prima di essere avviati alla vendita ma in ogni caso è bene essere prudenti nel maneggiarli ed aiutarsi con una carta di giornale o di scotex per sbucciarli.

Le spine sono quasi invisibili ma molto fastidiose di difficile estrazione perchè si spezzano con facilità.

PARTICOLARITA' DI QUESTI FRUTTI CHIAMATI "FRUTTI DELLA SALUTE"


 spine e glochidi
Questo inconveniente è bilanciato dal sapore dolce e squisito dei frutti e dalle loro notevoli qualità che gli hanno valso il nome di frutti della salute.

Sono infatti ricchi di vitamina C, un tempo venivano imbarcati sulle navi per contrastare lo scorbuto,  contengono   molti minerali soprattutto calcio e fosforo hanno sostanze mucillaginose che regolano il tasso glicemico.

Possiedono un aminoacido importante la taurina benefica per i suoi effetti su cuore, retina e sistema nervoso centrale che possiede inoltre un forte potere antiossidante.

COLTIVARLA IN VASO E NON
Se volete coltivare una pianta così benefica debbo fare una distinzione: se abitate in un luogo dove d'inverno le temperature si mantengono sopra lo 0 questa pianta non vi darà eccessivi problemi se invece abitate in un luogo dove gli inverni sono freddi dovrete accontentarvi di una pianta in vaso che difficilmente fruttificherà anche se non mancano eccezioni in tal senso.

Il vaso dev'essere capiente, almeno 50 cm di diametro con ottimo drenaggio e terreno sciolto e leggero.

Va collocato in un luogo molto luminoso meglio in pieno sole e innaffiato in estate ogni settimana circa quando il terreno è ben asciutto.

Una concimazione con concime organico in primavera sarà gradita dalla pianta che per svernare vuole un ambiente non eccessivamente caldo.

L'ideale sarebbe una serra fredda dove la temperatura non scenda nè di giorno nè di notte sotto i 10 gradi nel posto più luminoso arieggiando spesso ma evitando le fredde correnti d'aria.

Ogni 2 anni occorre rinvasare osservando bene le radici che devono presentarsi biancastre e ben turgide eliminare quelle annerite o che presentino cenni di muffe.

Attenzione alle spine sempre presenti e che possono essere pericolose per i bambini e per gli animali domestici.

Invece in piena terra il fico d'india se trova il clima che gli è congeniale è pianta rustica che dopo alcuni anni sarà prodiga di fiori e frutti.

Si sviluppa rapidamente e nei climi più caldi è impiegata anche per formare spinose siepi di recinzione dei campi.

VARIETA'

Le varietà vengono distinte a seconda del colore della polpa dei frutti.

Abbiamo perciò una varietà detta Sanguigna con frutti a polpa rossa, una varietà detta Muscaredda con frutti con polpa bianca e una varietà chiamata Sulfarina nella quale la polpa dei frutti è di colore giallognolo.


 fichi d'india di diverse colorazioni in vendita in Messico
 La più diffusa è proprio quest'ultima per la sua capacità produttiva e per la sua  adattabilità a metodi  di coltivazione intensiva ma in misura marginale vengono coltivate anche le altre due varietà per fornire al mercato una differenziazione nella colorazione dei frutti.

Un'altra varietà molto pregiata per la pezzatura dei suoi frutti è il "Fico d 'india dell'Etna" con frutti di oltre 100 gr di peso e con polpa che non dev'essere inferiore al 60% del peso fresco dell'intero frutto.

USI PARTICOLARI DI QUESTO GUSTOSO FRUTTO E DELLE PALE


Un uso particolare del fico d'india è quello che lo vede utilizzato per l'allevamento di un insetto particolare chiamato Dactylopius coccus parassita delle pale da cui si ricava un colorante prezioso il carminio di un particolare tono di rosso scuro.

Questo allevamento viene fatto in Messico e soprattutto nelle isole Canarie a Lanzarote costituisce una fiorente attività economica.

In Europa tale allevamento non ha potuto aver luogo per le sue caratteristiche climatiche infatti si hanno temperature troppo basse e piogge eccessivamente frequenti.

 allevamento dell'insetto Dactylopius coccus
In Sicilia è usanza consumare questo frutto a colazione per le sue proprietà vitaminiche e dissetanti e sempre in Sicilia viene consumato non solo fresco ma anche in numerose preparazioni.

I fichi d'india in quest'isola sono inseriti tra i prodotti agroalimentari siciliani e questo indica quanto sia importante per gli abitanti questa pianta ormai diffusa abbondantemente sia come coltivazione che come esemplare selvatico.

Una ricetta siciliana usa le pale più giovani e tenere accuratamente private delle spine che vengono tagliate a cubetti, lessate e condite con olio sale e succo di limone.

In Messico invece vige l'usanza di cuocerle su piastre roventi di ferro dopo averle accuratamente spinate.

Così cucinate si trovano spesso in vendita nei mercati o presso gli ambulanti che vendono anche crema di fagioli mais cotto e cipolle.


 raccolta frutti con "il coppo"
 Invece i frutti possono essere  usati in cucina in tantissimi modi.

Crudi entrano a far parte di succulente macedonie condite con zucchero e irrorate con marsala oppure invece del marsala si può adoperare il succo del lime per dare un gusto leggermente acidulo.

Se ne possono ricavare marmellate composte e mostarde.

Se vengono messi a fermentare se ne ricava una bevanda leggermente alcolica che distillata da origine ad un'ottima e singolare acquavite.

Per la ricettina che sempre chiude il post ho interpellato la mia amica siciliana che vive alla pendici dell'Etna e che più di me è esperta nel cucinare questo frutto così comune dalle sue parti.

Gentilissima mi ha passato questa gustosa ricetta che giro a voi dopo averla provata e averla trovata davvero particolare e gustosa.

INSALATA CON I FICHI D'INDIA

Ingredienti per due persone

3 fichi d'india maturi

60 /70 gr di insalate miste (lattughe, indivia , radicchio,lattuga romana)

20 gr di gherigli di noci

mezza cipolla rossa di tropea

un piccolo limone verde

olio extrevergine d'oliva

sale q.b.

Sbucciate i fichi d'india e tagliateli a fette spesse accomodandoli in due piatti.

Pulite e lavate le insalate asciugatele accuratamente  tagliatele  in striscioline sottili e mescolatele.

Aggiungetevi anche la cipolla tagliata a fettine sottilissime e la scorza del limone che avrete gratuggiato evitando con cura la sua parte bianca.

Mescolate bene il tutto e versatelo sopra le fette di fichi d'india.

Spolverate con i gherigli delle noci che avrete grossolanamente tritato.

Con due cucchiai di olio extravergine emulsionate il succo del limone aggiustate di sale e versatelo nei due piatti precedentemente preparati.

Portate subito in tavola dove i vostri commensali golosi non potranno fare a meno di lodarvi un'insalata così particolare.

In quanto a me non mi resta che ritirarmi non prima però di avervi augurato

BUON APPETITO

lunedì 24 ottobre 2011

ORTO SUL BALCONE

CINGEVA LA FRONTE DEI POETI DEGLI ATLETI E DEI CONDOTTIERI VITTORIOSI QUEST'AROMATICA  ANTICA

Questa pianta aromatica sempreverde conosciuta da tempo immemorabile ancor oggi è usata contro l'influenza e i sintomi da raffreddamento.

Originaria dell'Asia minore si è diffusa lungo le coste del Mediterraneo dove è oggi presente sia allo stato selvatico che in coltura.
 
Questo grande arbusto caratterizza in maniera così spiccata l'areale dove è diffuso che da lui prende il nome di Lauretum.

E' apprezzato da tempo immemorabile per le sue proprietà medicinali.

UN MITO LEGATO A QUESTA PIANTA

Era pianta sacra per i Greci e i Romani consacrata ad Apollo e legata al mito di Dafne.

Dafne era una ninfa figlia di Gea la Terra che viveva serena nei boschi.

Apollo appena la vide se ne invaghì e iniziò ad inseguirla mentre Dafne fuggiva terrorizzata dall'irruenza del dio.

Quando stava per essere raggiunta pregò la madre Gea di salvarla e questa la tramutò in una pianta l'alloro.

Apollo disperato proclamò che quella pianta sarebbe stata sacra al suo culto e in segno di gloria avrebbe incoronato i vincitori.

Se i Greci piantavano l'alloro in prossimità dei templi e ne bruciavano le fronde durante riti sacrificali, i Romani lo tenevano in gran conto e lo usavano per incoronare re ed imperatori come simbolo di gloria.

Il nome laurea deriva proprio da alloro che era anche considerato simbolo di onori accademici.

Anche gli Arabi erano entusiasti sostenitori dell'alloro e ne utilizzavano le foglie e le bacche per molte preparazioni cosmetiche e medicinali.

Nel Medioevo  questa pianta serviva per profumare gli ambienti ed era oggetto di numerose credenze una delle quali affermava che l'alloro proteggeva dalle streghe dai diavoli e dai fulmini.

DESCRIZIONE E COLTIVAZIONE DI QUESTA PIANTA AROMATICA

Questa pianta appartiene alla famiglia delle Lauraceae il suo nome scientifico è Laurus nobilis  che deriva da laus = lode per le qualità medicinali della pianta o per il fatto che è sempreverde.

Può essere a cespuglio o ad alberello le sue foglie slanciate lucide dentellate e coriacee costituiscono una folta chioma.

L'alloro può raggiungere i 10 metri di altezza ma spesso viene potato per ridurne l'ingombro anche perchè è una pianta che sopporta bene le potature.


 fiore maschile
 I fiorellini giallognoli son insignificanti e spuntano in primavera a grappoli o in cime ascellari.
 
L'alloro è una pianta dioica cioè vi sono piante con fiori maschili e piante con fiori femminili che poi si tramutano in  numerose bacche ovoidali quasi nere che spiccano nel verde lucido del fogliame e che maturano in autunno a ottobre novembre.

Selvatico cresce nei boschi e nelle macchie lungo le coste delle zone miti dell'area mediterranea e abbellisce molti giardini specie d'autunno e d'inverno perchè mantiene il suo fogliame.

Pianta rustica prospera dove il clima d'inverno si mantiene mite altrimenti è meglio collocarla in un luogo riparato, a ridosso di un muro ad esempio che la protegge dalle gelate troppo intense.

I miei allori collocati in un posto riparato da alte siepi hanno resistito in piena terra a temperature di oltre - 7 gradi non defogliandosi quindi se abitate dove il clima ha inverni freddi potete godere della pianta di alloro se la piantate in piena terra in un luogo riparato.


fiore femminile 
 Però sinchè è giovane è meglio ripararla avvolgendola con un telo di tessuto non tessuto quando è più lignificata è più resistente alle basse temperature.

In vaso invece dovete sempre proteggere con paglia o un velo di tessuto non tessuto il vaso e la pianta stessa quando il gelo si fa più intenso.

L'alloro preferisce il sole ma si adatta e cresce bene anche in luoghi ombreggiati.

Per quanto riguarda il terreno non ha eccessive esigenze basta una buona terra fertile da orto o terriccio universale se lo si vuole coltivare in vaso.

Rinvasate la pianta ogni due anni scegliendo un vaso leggermente più grande del precedente e all'occorrenza accorciate le radici che in questa pianta sono particolarmente vigorose.

Se coltivato in piena terra non occorre potarlo energicamente lo si può però ridurre togliendo i rami che danno ingombro, che sono spezzati o che rendono troppo fitta la chioma per arieggiarla.

Fate questa potatura prima della ripresa vegetativa e quando il clima inizia a farsi più mite a Febbraio primi di Marzo.
 
Se è in un vaso potete decidere se lasciare la vostra pianta arbustiva accorciando solo i rami più bassi oppure formarla ad alberello con accorte potature di formazione che vi impegneranno per i primi 3 anni di vita del vostro alloro da eseguirsi sempre alla fine dell'inverno come ho già detto.


fiori maschili
 Concimate poco e  con un concime completo di microelementi e di azoto per favorire la crescita delle giovani foglie e delle radici  mettetelo nel terreno in primavera al momento della ripresa vegetativa.

L'alloro non vuole troppa acqua innaffiatelo se in piena terra solo quando è giovane.

Se è in vaso  innaffiatelo anche se è adulto ma aspettate che il terreno sia ben asciutto e curate molto bene il drenaggio questa pianta teme molto i ristagni idrici.

Se volete moltiplicarlo sappiate che l'alloro facilmente si risemina quindi cercate  se vicino alla vostra pianta adulta vi sia qualche pianticella  generata dalla stessa.

In primavera collocatela nel luogo che avete scelto per lei e allevatela presto avrete una nuova pianta di alloro.

Se la volete identica alla pianta madre si può procedere per talea asportando nei mesi di agosto settembre dei vigorosi apici vegetativi lunghi circa una diecina di cm.
 
Dopo aver eliminato le loro foglie basali si piantano in un vaso e lo si copre con un cappuccio di plastica mantenendo il terreno sempre leggermente umido.

Quando le talee hanno iniziato a vegetare cioè iniziano ad emettere vegetazione nuova lo si toglie e si lasciano irrobustire.


 bacche mature
 Si possono trapiantare a dimora all'inizio della primavera seguente.

Con le piante di alloro è possibile fare una siepe sempreverde e profumata ma questo solo dove il clima è mite e ventilato perchè l'alloro non è propriamente pianta da siepe e le piante così vicine son più soggette agli attacchi dei parassiti.

VARIETA'

Ne esiste una varietà con le foglie auree "Laurus nobilis aureus" a crescita più lenta e con le foglie, specie quelle giovani di color giallo molto ornamentale. con le stesse proprietà e profumo dell'alloro più  comune.

Questa cultivar è più delicata dell'alloro classico abbisogna di una posizione riparata e a mezz'ombra e  occorre armarsi di pazienza la sua bellezza risalta al meglio solo quando si è completamente ambientata e potrebbero trascorrere anni.

Tuttavia si viene ripagati da tanta pazienza dalla sua singolarità e dal risalto che le sue giovani foglie offrono col loro chiaro colore giallo pallido.

PROPRIETA' DELL'ALLORO


 alloro varietà aureus
Tutta la pianta  di alloro ha proprietà aromatiche che sono concentrate nelle bacche e nelle foglie che si possono raccogliere tutto l'anno ma sono più aromatiche nei mesi di Luglio e Agosto.

Grazie ai suoi olii essenziali sin dall'antichità l'alloro è stata considerata una pianta dalle numerose proprietà espettoranti e digestive, antisettiche e antidolorifiche.

Le sue foglie si possono adoperare in pediluvio perchè rilassano e tolgono la stanchezza,  alleviano i dolori reumatici e i dolori mestruali.

Le sue proprietà però non sono solo queste ma anche in cucina è tenuto in gran conto.

Si usano le foglie fresche ma possono adoperarsi anche quelle secche o polverizzate che non perdono con l'essiccazione il loro aroma.

Le bacche si  adoperano e hanno un sapore più intenso.

Son tantissimi gli utilizzi di questa pianta in cucina si aromatizzano le carni la cacciagione ma anche i legumi e quanto viene conservato sott'olio funghi, melanzane ecc..

Un'uso particolare viene fatto con i fichi avvolgendoli con le foglie, mentre le bacche gratuggiate vengono usate su varie pietanze per dare un più intenso sapore.

Per le sue qualità digestive le foglie e le bacche di alloro entrano nella preparazione di numerosi liquori tipici come il Laurino prodotto in Emilia Romagna.

Parlando di cibo è arrivato il momento della ricettina tuttavia non solo lo stomaco dev'essere considerato ma anche le altre parti del corpo meritano attenzione.

Quindi questa volta non scriverò di ricette atte a solleticare il palato e a rimpire lo stomaco ma mi soffermerò su due importantissime estremità che il corpo lo sorreggono.

Le ricette son due una più blanda l'altra più intensa scegliete voi quale vi pare più adatta per voi stessi.

DECOTTO DI FOGLIE DI ALLORO

In una pentola di acqua fredda mettete una manciata di foglie di alloro portate lentamente a bollore e  fate bollire adagio per una ventina di minuti.

Versate il decotto o nel catino dove fate i pediluvi o nell' acqua della vasca da bagno.

Può essere usato anche per ottenere un bagno rilassante.

Mantenervi i piedi o il corpo in rilassamento per almeno un quarto d'ora

Molto utile per rigenerare i piedi stanchi soggetti ad essudazione.

DECOTTO DI BACCHE

Fate bollire adagio per una ventina di minuti in un litro di acqua una manciata di bacche di alloro ben mature, son tali quando sono di colorazione scura quasi nera, aggiunte ad acqua fredda  poi lasciate raffreddare il liquido.

Schiacciate le bacche, filtrate poi aggiungete il decotto nell'acqua del pediluvio tenendovi immersi i piedi per almeno un quarto d'ora.

Ne trarrete subito un gran giovamento.

Questa ricetta ha un aroma e un'intensità maggiore della precedente ma entrambe sono molto utili per risolvere il problema dei piedi stanchi.

A questo punto molto ho detto non vorrei tediarvi e quindi non mi resta che augurarvi

BUON PEDILUVIO

venerdì 21 ottobre 2011

ORTAGGI RARI

E' RARO E' LIGURE E' DI LAVAGNA

Era da un pò di tempo che volevo ancora scrivere di questa grande famiglia che ha rappresentanti un pò in tutta Italia.

Ho già trattato in un precedente post questo ortaggio tipicamente invernale uno dei pochi che non solo non teme il gelo ma anzi il freddo lo rende più tenero e gustoso.

Stiamo per entrare nel periodo invernale e quindi con molto piacere passo a descrivervi questa verdura molto comune ma con delle cultivar rare e di nicchia come questa che è la protagonista di questo post.

Un ortaggio coltivato ed apprezzato, con relative ricette, nella cittadina di Lavagna e dintorni situata nella Riviera di Levante non molto lontano da Genova.
 
Il Golfo del Tigullio racchiude luoghi bellissimi con clima mite anche d'inverno bagnati da un mare stupendo come Portofino, Santa Margherita Ligure, Rapallo.

Queste località sono famose in tutto il mondo per la loro bellezza e anche Lavagna centro della coltivazione del  cavolo broccolo lavagnino fa  parte di questi luoghi incantati.

E' qui in questi orti a terrazze affacciati sul mare, orti unici immersi nel profumo di un mare  straordinario per i suoi colori che vanno dall'azzurro più tenue al blu più profondo che viene coltivato il cavolo broccolo di Lavagna o lavagnino in associazione all'ulivo.

DESCRIZIONE DI QUESTO ANTICO CAVOLO

Un cavolo presente in zona da antica data di dimensioni contenute con un cappuccio di forma allungata.

Un  ortaggio un pò differente dagli altri della sua specie perchè non produce una testa come quella degli altri cavoli ma è dotato di numerose foglie poco bollose che accartocciate e strette nel nucleo centrale formano una specie di testa molto gustosa ed apprezzata che il freddo rende più tenera.

Alcune di queste foglioline al centro del suo nucleo prendono caratteristiche sfumature rosa nella sua varietà più tardiva.

Di questo cavolo ve ne sono due varietà una a maturazione più precoce e l'altra che matura più tardivamente in ogni caso viene coltivato per la raccolta autunno vernina.

E' una coltura rustica che si accontenta di terreni anche non eccessivamente ricchi ma cresce meglio in suoli di medio impasto ricchi di sostanza organica ben decomposta attenzione ai ristagni idrici che fanno marcire la pianta.

La semina non è facile occorre sorvegliare attentamente in modo che il terreno abbia sempre la giusta umidità consiglio di comprare le piantine avrete cosi la possibilità di più sicura riuscita.

Se vi capita di essere nei pressi di Lavagna a fine agosto non dimenticatevi di cercarle.

Trapiantandole, anche sul balcone se non possedete del terreno, potrete avere fresco questo prodotto così particolare, raro ma soprattutto utile per la salute e gustoso che sicuramente vi invidieranno.

Non son molti al di fuori del ristretto territorio che da sempre lo coltiva che possono vantarsi di avere nel proprio orto un ortaggio così particolare come il cavolo broccolo lavagnino.

Il cavolo lavagnino è una brassica il suo nome scientifico è Brassica oleracea var. capitata è un ortaggio di nicchia conosciuto ed apprezzato non solo in zona ma anche nel genovese dove viene ricercato per le numerose ricette che lo vedono protagonista non ultima quella che lo indica come condimento per la pasta.

Una ricetta caratteristica è la polenta molle con il cavolo nero ligure o in alternativa il cavolo lavagnino.

Nell'ottocento un'antica ricetta così  spiegava " Fate primieramente cuocere in pentola, con quella quantità di acqua richiesta per la polenta molle, dei cavoli neri oppure dei broccoli ( lavagnini) tagliuzzati con sale ed olio...."

Ortaggio da clima mite, com'è mite in inverno il clima della Riviera non escludo lo si possa anche trapiantare altrove proteggendolo specie quando è giovane, con un velo di tessuto non tessuto dai troppo rigidi rigori invernali.

La semina è a fine giugno per trapiantarlo nella prima quindicina d'agosto.

La crescita è lenta viene pronto in pieno inverno da novembre a marzo quando pochi altri ortaggi freschi allietavano le tavole di una volta.

Adesso noi possiamo comprare ogni tipo di verdura ma un tempo gli ortaggi che maturavano nella stagione invernale erano pochi e particolarmente apprezzati.

Ortaggi che  in tempi moderni hanno rischiato di sparire e che oggi vengono rivalutati per le loro  proprietà e per la loro bontà.

PROPRIETA' BENEFICHE DEL CAVOLO LAVAGNINO

Le proprietà benefiche dei cavoli e quindi anche del cavolo lavagnino sono conosciute sin dall'antichità.

 Il cavolo è un concentato di vitamine è ricco di vitamina  A, C contine anche le vitamine E  e U inoltre  ha moltissimi minerali ferro, fosforo, potassio, rame e zolfo diversi aminoacidi, mucillagini e saponine.

La vitamina C è fondamentale per rinforzare le difese immunitarie nel periodo freddo e così evitare le malattie da raffreddamento mentre la vitamina U di recente scoperta combatte le ulcere gastriche e duodenali.

Grazie a tale ricchezza di minerali e vitamine il cavolo può essere davvero considerato come una pianta medicina.

Può essere impiegato per alleviare diversi disturbi quali le malattie da raffreddamento i dolori reumatici e muscolari le dissenterie e le anemie.

La sua ricchezza di zolfo calcio e fosforo lo rendono adattissimo come elemento rimineralizzante e con ottime virtù digestive.

Inoltre recentemente si è posto l'accento sulle sue proprietà anticancerogene che approfonditi studi hanno confermato.

Compriamo e consumiamo perciò le Brassiche alle quali appartiene anche il nostro cavolo lavagnino il quale non solo ha un gusto delicato ma è anche molto utile al nostro organismo per le sue qualità organolettiche.

Com'era in uso una volta di questo broccolo non si butta nulla anche le foglie più grandi, private delle nervature che son legnose lessate e fatte saltare in padella con uno spicchio d'aglio costituiscono un ottimo contorno.

Una caratteristica del cavolo lavagnino  è che quando viene lessato non sprigiona il forte aroma, non a tutti gradito che sprigionano le altre brassiche.

La sua testa di foglie strette molto morbida e gustosa è particolarmente apprezzata cotta al vapore abbinata a patate lesse e condita con un filo di olio rigorosamente della Riviera ligure.

 La Camera di Commercio di Genova tutela  le tradizionali produzioni orticole col marchio di " Antichi Ortaggi del Tigullio" fra le quali c'è anche il cavolo broccolo lavagnino che ha così la possibilità di venire conosciuto ed apprezzato anche al di fuori dei confini genovesi.

 Ho provato nostalgia mentre sceglievo la ricettina che a fine post sempre metto.

A Genova abitava una sorella di mia mamma nonchè mia zia e spesso ci fermavamo, io ero bambina e poi una ragazzina, a pranzo da lei.

D'inverno immancabilmente mangiavamo tutti insieme la famiglia di mia zia, la mia, io e mio cugino Andrea la polenta con il cavolo lavagnino o a volte se non c'era col cavolo nero ma mia zia preferiva il lavagnino di più delicato sapore.

Purtroppo questa mia  zia è mancata che io ero ancora ragazzina e non ho più avuto la possibilità di mangiare la polenta così cucinata ma certi sapori intensi gustati nell'infanzia e nella giovinezza rimangono tutta la vita come un dolce-amaro ricordo.

Ho ritrovato quella ricetta e la passo a voi certa che apprezzerete questa antica ricetta con un ortaggio così particolare e mi auguro che attorno alla vostra tavola ci sia quel calore e quell'allegria che anticamente attorniavano le tavolate incluse quelle che rimarranno per sempre nel mio ricordo.

POLENTA  COL CAVOLO LAVAGNINO

Ingredienti per 4 persone

mezzo kg di farina di mais

2 cavoli lavagnini

parmigiano

olio extravergine d'oliva

sale q.b.

Pulite i due cavoli lavagnini, togliete loro le foglie più dure poi lavateli e tagliateli a  striscie sottili.

In una capace pentola mettete un quantitativo di acqua utile per preparare la polenta e salatela.

A bollore metteteci i cavoli e cuoceteli per circa 20 minuti fino a quando non saranno diventati quasi teneri.

Aggiungete la farina di mais e rabboccate con acqua calda per compensare quella persa durante la cottura dei cavoli e cuocete la farina sino a quando non sarà diventata polenta.

La polenta è pronta quando mescolando si stacca dalle pareti del recipiente ci vuole circa da una ventina di minuti alla mezz'ora.

Ricordatevi di mescolare spesso per evitare la formazione di grumi e fate in modo, aggiungendo acqua calda se necessita, che la consistenza della polenta sia morbida.

A questo punto mia zia la versava bollente sopra un tagliere la spolverava generosamente col parmigiano e la portava fumante in tavola.

Lì ogni commensale si serviva generosamente condendola poi con l'olio extravergine d'oliva.

Voi potete far così oppure dividete in 4 ciotole la polenta conditela con l'olio e portate le ciotoline in tavola servendo a parte il parmigiano.

Per amor di verità aggiungo che in una teglia vi era dell'ottima salsiccia in umido che si sposava molto bene con la polenta stessa.

Provate questa ricetta in una giornata fredda e umida è molto calorica e adatta a riscaldarvi e a ridarvi il buonumore.

A questo punto non mi resta che ritirarmi  ma prima voglio augurarvi

BUON APPETITO
 .

mercoledì 19 ottobre 2011

PIANTE DA FRUTTO

MATURA A SETTEMBRE UN FRUTTO ANTICO  LA SUA DOLCEZZA  ATTIRA L'UOMO DA TEMPI IMMEMORABILI

Albero antico il fico citato persino nel Vecchio Testamento come simbolo di abbondanza.

Vien anche detto che i nostri progenitori Adamo ed Eva dopo aver mangiato il frutto dell'albero della conoscenza, si dice fosse una mela ma alcuni credono sia stato proprio un fico, vergognosi si coprissero con le foglie di  questa pianta.

Proviene dall'area del Medio Oriente testimonianze della sua coltivazione son state rinvenute nelle prime civiltà agricole della Mesopotamia e della Palestina circa 8000 A.C.  da  lì si diffuse per tutto il bacino del Mediterraneo.

Nei giardini dei Babilonesi era coltivato come una delizia rara e ricercata e gli antichi Egizi lo veneravano quale albero della vita e dell'immortalità.

Gli  Egiziani lo conoscevano bene nella piramide di Giza datata intorno al 2500 A.C. è stato rinvenuto un affresco che raffigura la raccolta di fichi inoltre gli Egizi conoscevano anche i metodi di essiccazione e conservazione  di questo frutto.

I Greci lo tenevano in gran conto e per gli antichi Romani tre erano le piante sacre: l'ulivo la vite e il fico.

Il fico nell'antica Roma era considerato pianta della fortuna e protettrice della casa.

Era anche collegato alla nascita di Roma infatti si diceva che Romolo e Remo fondatori della città fossero stati allattati dalla famosa lupa sotto una pianta di fichi

Solo dopo la scoperta dell'America il fico si diffuse in quel continente e fu conosciuto in Cina e Giappone  in seguito a dei contatti che gli Europei ebbero con quei paesi orientali.

Oggi è diffuso in tutto il mondo dall'America all'Europa all'Asia.

In Italia la produzione maggiore si ha nelle regioni meridionali Puglia, Campania e Calabria in Liguria si hanno produzioni ottime e tradizionali è ligure uno dei nostri migliori fichi il  "Brogiotto bianco"

DESCRIZIONE DI QUESTA ANTICHISSIMA PIANTA

Il fico comune appartiene alla famiglia delle Moraceae il suo nome scientifico è Ficus Carica il nome Carica fa riferimento ad una regione dell'Asia Minore, la Caria che si trova nell'odierna Turchia

Ve ne sono di due tipi..il tipo selvatico o caprifico e il tipo domestico che produce i fichi così gustosi e dolci.

Il caprifico profuma in tutta  la pianta  e specie nel periodo caldo emana un intenso  profumo...di fico che a me fa venire l'acquolina in bocca perchè  io di fichi son golosa.

Il fico domestico fruttifica in due epoche diverse in estate i suoi frutti vengono detti fioroni  e son di maggiore pezzatura e in autunno maturano i fichi  chiamati fichi-veri  che sono più numerosi.

La pianta ha portamento arbustivo e i numerosi rami che si dipartono dal terreno possono diventare disordinati per ovviare a ciò la si può coltivare ad alberello lasciando un solo ramo con un tutore per aver un tronco unico e dritto ed eliminando tutti i ricacci sia sul terreno che sul tronco stesso.
     
Anche la chioma può essere spuntata per farle prendere una  forma ad ombrello molto elegante.

Tanta bellezza però ha un prezzo si perde una certa parte di produzione ma il fico è un albero così prolifico che non è gran danno.

Particolare è poi la sessualità  di questa pianta  infatti questa specie ha due forme botaniche che semplicisticamente si possono definire maschile, caprifico e femminile, fico.

Il caprifico produce polline che trasportato da un minuscolo insetto, la vespa Blastophaga psenes feconda le piante di fico domestico ma per fortuna molte cultivar di fichi sono a maturazione "partenocarpica", che avviene  anche se non è avvenuta la fecondazione per mezzo della vespa che vive solo nel caprifico.

Il frutto del fico poi, quello che noi consideriamo il frutto e che mangiamo, non è un vero frutto ma piuttosto una grossa infruttescenza carnosa e dolce detta siconio all'interno della quale vi sono i veri frutti molto piccoli chiamati  in botanica acheni.

La pianta si sviluppa al meglio in clima caldo e asciutto, resiste bene alla siccità quindi si sviluppa   maggiormente nelle regioni meridionali raggiungendo un'altezza  che può arrivare sino agli   8 metri.

Il fico non sopporta gli inverni troppo rigidi soffre anche delle gelate primaverili e in settentrione conviene sempre metterlo in una posizione protetta e soprattutto ben al sole che lignifica i rami e predispone la pianta a sopportare maggiormente il gelo.

Anche nell'Italia settentrionale vive ma va piantata in un luogo riparato o contro un muro dove  beneficerà   del calore rilasciato dal muro stesso, se poi il fico lo si alleva a spalliera  contro il muro stesso diventa un ornamento bello e utile.

Se lo si vuole moltiplicare basta staccare i polloni che numerosi crescono al piede della pianta e piantarli con qualche radice attaccata.

Se lo si vuole piantare conviene farlo in primavera passato il rischio delle gelate.

Il fico è pianta rustica se il clima è favorevole e il terreno piuttosto asciutto e non troppo argilloso vi godrete una pianta vigorosa che anno dopo anno vi darà un'ottima produzione di fichi.

IL FICO IN VASO

Vi sono anche varietà nane adatte ad essere coltivate sul balcone ma il vaso deve essere grande 40 per 40 almeno, di terracotta e la pianta va messa al sole e riparata d'inverno con un velo di tessuto non tessuto che avvolga anche il vaso sollevato da terra che la proteggano dalle forti gelate specie se è giovane.

 Prendete del buon terreno universale e mescolateci torba e sabbia almeno un 20% curando molto bene il drenaggio.

 pianta  adulta di fico in vaso
Alcune cultivar nane le potrete trovare a questo indirizzo http://www.rosai-e-piante-meilland.it/2-fichi.html

Questi fichi da adulti non superano i 3 metri di altezza per 1,50 di larghezza e in autunno anche loro fruttificano con fichi dolci e zuccherini formando l'attrazione di tutto il terrazzo.

LE NUMEROSE VARIETA' DEL FICO

Le cultivar sono molto numerose e  il colore dei frutti può essere bianco o nero i fichi bianchi hanno la pelle più sottile e son più dolci  quelli neri sono di pezzatura maggiore.

Una delle varietà più note e apprezzate è il fico "Brogiotto nero" il frutto è viola scuro tondeggiante e zuccherino la  buccia è sottile con la polpa molto profumata.

 fico brogiotto nero
Il suo albero è grande a vegetazione espansa con fogliame ricco e con rami che scendono sino al suolo dando alla pianta forma globosa.

I fichi maturano continuamente e successivamente da settembre a tutto ottobre e la pianta è molto produttiva non produce i fioroni ma solo i fichi-veri.

Questa varietà era conosciuta ed apprezzata già nella Roma antica e Plino affermava che da molti era considerato il migliore di tutti i fichi come lo è ancor oggi.

In fatto di squisitezza gli fa da rivale il "Brogiotto bianco" con frutto medio grosso allungato buccia sottile verde chiara all'inizio della maturazione prende sfumature gialline quando il frutto è maturo.

Una sua caratteristica è che a maturità piena il frutto si fessura lasciando intravedere il bianco sottostante e la sua buccia diventa così sottile che non son pochi quelli che non la levano ma mangiano e quella e il dolcissimo frutto che racchiude.

La polpa profumata color rosso ambra è squisita con un sapore dolce e gentile che rivaleggia in fatto di bontà con suo omonimo "Brogiotto nero"

La pianta è maestosa con foglie molto grandi  molto produttiva e regolare nella sua fruttificazione.

I suoi fichi iniziano a maturare da metà agosto a tutto settembre ma se il clima è caldo continuano a maturare per tutto ottobre.

E' una varietà unifera vale a dire che ha una fruttificazione sola e quand'anche producesse dei fioroni questi non giungerebbero a maturazione.

fico brogiotto bianco  
Il "Brogiotto bianco" non primeggia fra gli altri fichi solo come frutto fresco ma è insuperabile anche quando è secco per la morbidezza che mantiene malgrado l'asciuttezza dell'essiccazione.

Questa varietà per prosperare al meglio vuole clima mite e terreno particolarmente grasso le sue poderose radici si allungano per diversi metri e rivaleggano con l'ampiezza della sua chioma.

Se amate i fichi e il vostro terreno ve lo consente piantate un esemplare di questa varietà diventerà con gli anni una pianta che con la sua personalità catturerà lo sguardo di tutti quelli che avranno la fortuna di osservarla.

Il fico "Dottato" è una varietà vigorosa a portamento aperto ma non raggiunge le dimensioni delle due varietà che ho già nominato.

 fichi dottati
E' una varietà bifera cioè matura ottimi fioroni che vengon pronti da cogliere a luglio pochi o tanti a seconda delle annate e del vigore della pianta che per esprimersi al meglio vuole suolo ricco e clima mite.

A settembre maturano i fichi-veri obilunghi, grossi e con buccia giallo verdastra che si fessura leggermente a piena maturazione.

La loro polpa è ambrata chiara molto succosa ed aromatica.

Questa varietà è molto utilizzata per la produzione di fichi secchi, ma anche per il consumo di fichi freschi adoperati anche nelle confetture.

Sono numerose le cultivar che danno una doppia produzione queste di cui ho parlato son le principali ma ve ne son moltissime altre anzi si può dire che non esisteva luogo in cui era possibile la fruttificazione dei fichi che non avesse le sue particolari varietà.

 vigorosa pianta di fico
Molte son andate perdute ma altre si vanno salvando e riscoprendo un patrimonio che non è solo arboreo ma anche colturale e che merita di essere valorizzato.

Presto intendo fare una nuova sezione in cui tratterò questi frutti antichi.

 Purtroppo la pioggia battente di settembre e l'umido di ottobre danneggiano i fichi  li spaccano e li fanno marcire  rendendoli immangiabili per questo motivo si perde parte della produzione.

Io ho una antica cultivar di fico  "Fico verdino"  antica cultivar toscana già presente nel Rinascimento e dipinta dal famoso pittore Bimbi nel 1600 che mi da numerosissimi fichi  di un verde chiaro quasi bianco dolcissimi anche se di ridotta pezzatura che maturano numerosi in settembre.

 fico verdino
Pensando come potevo adoperare questi piccoli meravigliosi fichi  ho reinventato questa ricetta che vi passo sperando di far  piacere ai palati golosi.

MACEDONIA DI FRUTTA AUTUNNALE

Ingredienti per due persone

due pere

tre fichi

una arancia

alcuni chicchi di uva bianca e nera

pinoli

uva sultanina

Ammollare l'uva sultanina e mentre si ammolla, ci vorrà all'incirca un'oretta, pulite bene la frutta pelando pere e fichi, meglio se i fichi hanno buccia sottile li si può lasciare senza pelarli.

Prendere un grosso piatto di portata e sistemate le pere tagliate a fette sottili sistemandole artisticamente al centro del piatto di portata.

Tagliate a metà gli acini di uva bianca e nera togliete loro i semi e disponeteli sulle fette di pera in modo che i colori siano ben miscelati.

Prendete i fichi tagliateli in quattro parti aprendoli leggermente e disponeteli artisticamente sopra le fette di pera e fra gli acini d'uva.

Cospargete il tutto con i pinoli e l'uva sultanina ammollata.

Spremete l'arancia e al suo succo aggiungete un cucchiaio di Porto poi cospargete con questo liquido la frutta.

Se volete un gusto più forte e deciso sostituite il Porto a del buon Rum invecchiato.

Il profumo della frutta unito all'intenso aroma del liquore renderà questa macedonia non solo molto gustosa ma anche molto corroborante adatta  al clima frizzante dell'autunno.

Con questa promessa mi ritiro non senza prima avervi augurato

BUON APPETITO

lunedì 17 ottobre 2011

ORTAGGI DAL MONDO

E' BIANCO E' GIGANTE PROVIENE DALL'ASIA

Nel mondo esistono numerosi ortaggi che comuni in determinati luoghi difficilmente son conosciuti qui da noi.

Uno di questi è il Daikon che in Giapponese significa letteralmente "grossa radice" il suo nome scientifico è "Rafanus sativus var. longipinnatus  ed è la versione gigante del nostro ravanello.

 Molto coltivato in Asia orientale e molto amato soprattutto in Giappone dove entra in numerose preparazioni culinarie di quel paese inizia ad essere conosciuto e coltivato anche da noi perchè matura in inverno e la sua radice si presta a numerosi usi.

Ne esistono diverse varietà quella più conosciuta qui  in Italia è quella più comune e commercializzata in Giappone dal nome di Aokubi Daikon.

Ne esistono varietà a radice lunga e altre invece a radice tonda come la varietà Sakurajima che ha la forma di una  grossa rapa di colore bianco.

Viene spesso paragonato ad una carota gigante con la sua radice bianca ed allungata che può raggiungere il peso di 3 kg  la lunghezza di 20 - 35 cm e i 5 - 10 cm di diametro.

Queste sono le sbalorditive dimensioni che questo ortaggio può raggiungere in piena terra e con coltivazione ottimale.

DESCRIZIONE E COLTIVAZIONE DI QUESTO INSOLITO, PER NOI, ORTAGGIO

Il daikon può essere seminato a fine estate per raccogliere le sue radici lungo tutto l'inverno oppure in primavera per un raccolto estivo ma soffre il caldo eccessivo è coltura da collina e da climi freschi.


 fiore  del daikon
 Se volete raccogliere i semi lasciate alcune radici nel terreno fioriranno in tarda primavera.

Le sue foglie sono  pennate e verde scuro formano un grosso ciuffo che può raggiungere i 60 cm di altezza e un'ampiezza di  45 cm  per raggiungere tali dimensioni il daikon impiega un tempo piuttosto lungo anche tre mesi per l'ingrossamento della radice.

Tale lentezza è un pregio perchè la pianta può svernare nel terreno e si può così cogliere sempre fresco il daikon che si conserverà sino a primavera.

In climi particolarmente rigidi si consiglia di levare le radici e di conservarle in un luogo buio fresco e asciutto.

POTETE TENTARNE LA COLTIVAZIONE ANCHE SUL VOSTRO TERRAZZO

Se ne può tentare la coltivazione sul terrazzo non potendo però pretendere di aver radici sviluppate pienamente.

Scegliete, se volete tentarne la coltivazione, un poroso vaso di terracotta possibilmente di forma rettangolare di misure ampie considerate le dimensioni della pianta, cercatelo alto per permettere alla radice del daikon di svilupparsi e siate tempestivi nella raccolta.

Il clima sia fresco ma per germinare bene il daikon vuole che il terreno sia ancora tiepido anche se poi la radice si sviluppa con temperature più rigide quindi a seconda delle zone il periodo migliore per la semina è fine agosto settembre

Per una semina a fine inverno, quindi per aver pronto in tarda primavera estate questo ortaggio scegliete delle selezioni adatte a questa stagione "April Cross" per esempio.

Seminate a spaglio a circa 2 cm di profondità e compattate il terreno leggermente dopo la semina così la radice si svilupperà con più regolarità.

 qualità di daikon a radice tonda
Diradate le piantine quando hanno 4 -5 foglioline sviluppate a 20 cm circa l'una dall'altra.

Dopo circa 2 mesi dalla semina potrete raccogliere le prime radici che non troppo sviluppate saranno però più tenere e croccanti e potrete consumare anche le loro tenere foglie che mescolate con altre insalate aiutano la digestione.

Il terreno deve essere particolarmete sciolto, fresco e non troppo concimato perchè se lo fosse si sviluppano le foglie a discapito della radice.

COLTIVATO IN PIENA TERRA VIEN MEGLIO
Se viene coltivato in piena terra rimuovete con cura quanto può impedire alla radice di scendere in profondità, sassi o altri impedimenti perchè se trova ostacoli o anche se il vaso non è sufficientemente profondo essa ha la tendenza ad uscire dal terreno per svilupparsi in superficie e la parte esposta all'aria diviene verde e di cattivo sapore.

Importante è l'irrigazione che sia abbondante e soprattutto non fate mancare l'acqua altrimenti la radice tende a diventare fibrosa.

Attenzione anche alla germinabilità del seme controllate che sia fresco.

QUALITA' DEL DAIKON CONSIDERATO IN GIAPPONE UN ALIMENTO MEDICINA

In Giappone il daikon è considerato un vero e  proprio alimento medicina tenuto in grande considerazione dai giapponesi e non solo da più di 2000 anni.

E' conosciuto e coltivato anche in India, Cina e Corea dove entra nella preparazione di numerosi piatti locali sia crudo che cotto che essiccato.

Il suo sapore è leggermente piccante tipo il nostro ravanello ma se cotto lo perde leggermente in ogni caso è sempre molto gustoso.

Contiene sali minerali quali potassio, fosforo, calcio e magnesio, vitamina C ed è ricco di fibre.


Ha numerose qualità è diuretico e drenante del fegato ed è un brucia grassi  naturale usato per la ritenzione idrica e nelle diete possedendo poche calorie 100 gr di daikon ne posseggon soltanto 18

Contiene degli enzimi attivi che aiutano la digestione ed è ottimo per accompagnare i fritti aiutando a digerirli.

I semi del daikon possono anche essere fatti germogliare e sono una popolare guarnitura per insalate e  per il sushi, cibo a base di pesce.

In Giappone viene anche cucinato col polpo o il calamaro poichè si crede che gli enzimi contenuti in questa verdura li inteneriscano.

Per  per rendere questa radice più tenera può essere bollita un poco nel brodo mentre se è grattata è popolare in Giappone come guarnizione per i  piatti di pesce cotto.

Nel periodo autunnale viene messo sott'aceto così viene conservato pronto per essere adoperato in inverno.

Ho scelto una ricetta semplice ma gustosa e di sicura riuscita per questa verdura così versatile ma anche un poco sconosciuta.

DAIKON E CAROTE SALTATE IN PADELLA

Ingredienti per due persone

daikon gr 150

 una carota grossa

2 cucchiai di olio di sesamo

sale q.b
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Tagliate, dopo averle ben grattate e lavate, le verdure a fiammifero.

Fatele saltare con olio ben caldo in padella a fuoco vivo rimestadole continuamente.

Abbassate la fiamma coprite la padella con un coperchio e cuocete per circa 15 minuti controllando la cottura e aggiungendo qualche mestolo di brodo o di acqua se necessario.

A fine cottura aggiungete un trito di prezzemolo salate e portare in tavola.

L'insolito gusto piccantino del daikon sarà sicuramente apprezzato dai commensali.

Per una versione a crudo di questa radice posto una ricetta semplicissima che però esalta al meglio le caratteristiche di questo ortaggio sia nutritive che di gusto.

INSALATA CON DAIKON

daikon gr 100

zenzero fresco

olio extravergine d'oliva

semi di papavero

sale q.b.

Pulite bene il daikon raschiandolo con la lama del coltello come si fa con le carote oppure pelarlo, ma se ne perde una certa quantità, poi lavatelo bene e tagliatelo a rondelle fini.

In una ciotolina preparate il condimento: olio di oliva extravergine emulsionato con lo zenzero fresco grattuggiato.

Amalgamate bene i due ingredienti e aggiustate di sale.

Versate  questa salsina sopra il daikon e come decorazione spolverate con i semi di papavero.

Portando in tavola questa semplice ma gustosa insalata farete il pieno delle qualità del daikon in tutta la loro interezza.

C'è poi da ricordarsi che questo ortaggio è un alimento che aiuta a bruciare i grassi quindi questo piatto è molto adatto se si segue una dieta spesso povera di sapori.

A questo punto non mi resta che augurarvi

BUON APPETITO